I LOVE YOU BABY

La conferenza a Cecina che ho tenuto sabato scorso è stato un evento speciale sotto molti punti di vista. In primo luogo sicuramente per l’affluenza: c’erano addirittura persone in piedi e altre sedute in terra. In secondo luogo per l’attenzione e la partecipazione. E’ inutile dire che sono serate come queste che danno un senso al mio lavoro.
Sicuramente i riconoscimenti virtuali fanno piacere, ma lo sguardo delle persone, il fiato sospeso nella sala mentre scorrono le immagini e le testimonianze al momento dei saluti sono qualcosa di impagabile. Rientri a casa con la sensazione di essere sulla strada giusta, nonostante tutte le difficoltà.
Ma non è questo ciò di cui volevo parlare in questo post.

Come sempre accade in queste serate, ad un certo punto mando lo slideshow con la storia di Alina, una ballerina del Teatro dell’Opera e del Balletto di Donetsk; Alina, come del resto molti suoi colleghi, nonostante la guerra, ha continuato a danzare per dare sollievo alla popolazione della città sfiancata da anni di bombardamenti e attacchi ucraini.
Ad un certo punto del filmato, appare la foto del pranzo a casa del nonno di Alina.
Nel vederla mi si pone sempre un dubbio.
Riuscirò a dire qualcosa senza che le parole mi si strozzino in gola?
Mentre le foto camminano una dietro l’altra, penso attentamente alle frasi che vorrei proferire e mi ripeto che questa volta sarà diverso e riuscirò a dire qualcosa.

Quella fu una delle giornate più serene della mia vita.
L’atmosfera era conviviale, mi sentivo uno di famiglia.
Avevamo pranzato insieme e bevuto con il nonno, che tra un bicchierino e l’altro, ci deliziava con i suoi aneddoti di quando era militare in URSS e con le sue barzellette.
C’era anche Andrej quel giorno, il fidanzato di una delle ballerine.
Andrej è un ragazzone di 19 anni grosso come una montagna e bonario come solo gli uomini di quella mole, essendo consapevoli della loro forza, possono essere.
Andrej ci fece morire letteralmente dalle risate. Era una miniera inesauribile di battute.
E’ veramente raro trovare una persona dotata di un umorismo così intelligente.
Rimasi veramente colpito dalla sua energia.

Due mesi dopo quel pranzo mi ritrovai di nuovo in quella casa questa volta per fare le riprese del mio documentario.
C’erano le stesse persone, la luce era identica, ma quel giorno in casa aleggiava una sorta di patina che inizialmente non riuscii a decifrare.
Tutti erano allegri come sempre, il nonno in grandissimo spolvero, eppure mancava qualcosa.
Ad un certo punto chiesi come mai Andrej non fosse dei nostri quella volta.
La domanda fece calare il gelo nella sala.
Ancora oggi non riesco a dimenticare quel rimbalzare di sguardi smarriti.
Ad un certo punto Alina ruppe gli indugi e mi disse che Andrej aveva avuto un incidente. Nel tentativo di rimuovere un ordigno che aveva rinvenuto in un terreno abbandonato, questo gli era esploso tra le mani.
Mi sembrò incredibile.
Era stato proprio lui a fermarmi mentre mi avventuravo in un campo per fare una foto, dicendomi che era pericoloso in quanto in quella zona avevano sparato molto e era ancora pieno di bombe inesplose.
E’ un uomo saggio Andrej.
Ma anche uno che non si tira indietro.
Avendo rinvenuto quell’esplosivo non se l’era sentita di lasciarlo nel campo nel mentre avvisava la polizia (stava facendo sport e non aveva con sé il cellulare). Pertanto si era fatto coraggio e aveva deciso di portarlo al primo presidio delle autorità.
Questa scelta gli era stata fatale.
Oggi Andrej ha perso l’utilizzo di entrambe le mani, e tutto sommato deve ritenersi fortunato ad essere ancora vivo.
Proprio lui che con quella sporca guerra civile non aveva nulla a che fare.

Ad un certo punto le ragazze presero la decisione di chiamarlo e di farlo venire.
Si presentò con Lera, la sua bellissima fidanzata, anche lei ballerina.
Era commovente il modo con il quale lei gli era rimasta vicina.
Non lo ha mollato un secondo, per tutta la durata del pranzo.
Andrej fece di tutto per non far ricadere sul gruppo il peso della sua condizione.
Con il direttore della fotografia decidemmo di non raccogliere la sua testimonianza e comunque di fermare le riprese.
La giornata comunque andò avanti, tutti si sforzarono di essere allegri e di far sentire Andrej a suo agio.

Fino alla serata di Cecina non ero riuscito a trovare un modo adatto per identificare la sensazione che provai durante quel pranzo.
Le riflessioni sul mio comportamento durante la serata, il cercare di capire perché non riesca a raccontare questo episodio senza che le frasi mi si strozzino in gola, mi hanno fatto finalmente trovare un esempio per concettualizzare quell’episodio.
Purtroppo mi capirà solo chi ha bene in mente il capolavoro di Michael Cimino “Il cacciatore”.
Il film si divide in due parti.
C’è un prima e un dopo la guerra.
Ci sono due scene in particolare, praticamente speculari, in cui gli amici si ritrovano per passare una serata in allegria tutti assieme nel loro locale preferito.
Una è prima del conflitto in Vietnam, la seconda dopo.
Nella prima si vede il gruppo ancora vergine, innocente.
Il divertimento è genuino, totale.
Il momento in cui tutti assieme ballano “Can’t Take My Eyes Off You” è da antologia del cinema.
Quella scena esprime gioia pura.
Dopo la guerra si ritrovano nel medesimo luogo.
Anche la musica è la stessa.
La grandezza di Cimino e del suo cast risiede nel fatto che riesce a descrivere in maniera magistrale quella patina che avevo riscontrato nella stanza dopo l’incidente.
Tutto era come prima, niente era come prima.
Quelle persone erano cambiate in modo irreversibile.
Che poi è il senso della tragedia, una porta varcata che si chiude definitivamente alle nostre spalle.
La tragedia è la presa di coscienza del punto di non ritorno.

La vicenda di Andrej è la più grande tragedia che ho potuto testimoniare, perché ho respirato l’atmosfera del prima e del dopo.
L’inalazione di quella irreversibilità degli eventi intossica l’organismo per sempre.
Che poi è quello che ha mirabilmente scritto Thomas Wolfe nel suo capolavoro “Non puoi tornare a casa” (You can’t go home again).
I personaggi del Cacciatore non potevano tornare a “casa” perché la loro casa non esisteva più.
O meglio esisteva, ma era oramai in un’altra dimensione.
Era nella dimensione del prima della guerra.
La loro casa era l’innocenza perduta.
La tragedia deriva dal fatto che tu entri nello stesso luogo e pensi che automaticamente ti restituisca le sensazioni di sempre.
Purtroppo spesso non è così.
Spesso quel luogo esiste solo nella dimensione dei tuoi ricordi.
La distanza incolmabile tra le due dimensioni è il senso stesso della tragedia.
E’ come trovarsi difronte ai propri desideri ma essere separati da essi da un vetro blindato.
Il vetro blindato è quella patina che percepisci ma che non riesci a spiegarti.
E’ il separatore tra la felicità e il ricordo della felicità.