Sono oramai passati cinque anni dalla consultazione referendaria sull’autodeterminazione della penisola di Crimea (comprendente la Repubblica autonoma di Crimea e la città autonoma di Sebastopoli) tenutosi il 16 marzo 2014.

L’affluenza fu pari all’84,2% degli aventi diritto e il risultato fu un plebiscitario 97,32% di voti a favore “del ricongiungimento della Crimea con la Russia come soggetto federale della Federazione Russa”.Al referendum furono presenti 70 osservatori internazionali provenienti da 23 paesi.

La composizione etnica della repubblica autonoma di Crimea è a maggioranza russa, circa il 58%, secondo gruppo etnico è quello ucraino con il 24% e infine nella penisola è presente anche una forte minoranza tatara (12%). Secondo le stime ufficiali dell’Istituto internazionale di sociologia di Kiev, il 97% degli abitanti usa la lingua russa per comunicare.
La penisola ha sempre rivestito un fondamentale ruolo strategico per la Russia ed è stata spesso al centro di rilevanti eventi storici.

Durante la seconda guerra mondiale fu teatro di sanguinosissimi scontri tra le armate naziste e le forze sovietiche che culminarono nell’assedio dell’importante base navale di Sebastopoli, quartier generale della Flotta del Mar Nero.
Nel 1954 per celebrare i 300 anni di amicizia tra Ucraina e Russia la penisola a maggioranza russofona era stata donata a Kiev dal leader dell’Unione Sovietica Nikita Krusciov. Nell’ambito dell’Unione Sovietica si trattò di un semplice passaggio di giurisdizione amministrativa che non comportò nulla di più se non al massimo il cambio di qualche targa.
Nel 1992 in seguito alla caduta del blocco sovietico e all’acquisizione dell’indipendenza da parte dell’Ucraina, la Crimea si trovò a far parte di quest’ultima dando vita ad un contenzioso territoriale parzialmente superato nel 1995 con la creazione della Repubblica autonoma di Crimea, dotata di un proprio parlamento e di un proprio governo con sede a Simferopoli.
Di fatto in questo modo si era consentito alla Crimea di rimanere russa limitando i segni del cambiamento alla sostituzione delle insegne nelle strade. Nel 2010 era stato rinnovato il controllo russo del porto di Sebastopoli fino al 2042 (in cambio della riduzione per 10 anni del prezzo del gas russo all’Ucraina e di un aumento dell’affitto della base navale) garantendo alla Flotta del Mar Nero di poter mantenere un rapido accesso al Mar Mediterraneo.

Il 23 febbraio del 2014, a seguito della caduta del presidente Viktor Yanukovich dovuta al colpo si stato di Maidan e alla conseguente presa del potere da parte dell’opposizione nazionalista e filo-atlantica, a Sebastopoli, decine di migliaia di persone protestarono contro le nuove autorità e deliberarono di istituire un’amministrazione parallela e squadre di protezione civile realizzate con il sostegno dei bikers russi Night Wolves. Lo stesso accadde il 22 febbraio a Simferopoli, dove circa 5.000 persone si riunirono in gruppi analoghi. I manifestanti sventolarono bandiere russe e cantarono “Putin è il nostro presidente” e sostennero che si sarebbero rifiutati di pagare ulteriori tasse allo Stato.

Poco dopo, il 26 febbraio, all’aeroporto di Simferopoli fecero la loro comparsa i cosiddetti “omini verdi” (detti anche “persone educate”); si trattava di un gruppo di soldati vestiti con uniformi militari verdi anonime, sprovviste di mostrine e altri simboli che potessero ricondurli ad un corpo d’appartenenza, che iniziarono fin dalla prima apparizione a presidiare i luoghi strategici lungo la penisola. Equipaggiati di tutto punto con armi e dotazioni di ultima generazione, pattugliavano le strade con ritmo lento, ostentando modi gentili e rispondendo alle domande dei passanti.
Sembravano essere lì più per mostrare la loro presenza piuttosto che per combattere.

Il 27 febbraio si tenne una sessione di emergenza a porte chiuse del governo della penisola, alla presenza membri delle forze di autodifesa della Crimea.
Il primo ministro regionale della Crimea, Anatoly Mogilyov, che pochi giorni prima aveva dichiarato pubblicamente di essere contrario alla separazione della Crimea da Kiev, fu estromesso dalla riunione. Con il risultato di 55 voti a favore su 64 Sergey Aksyonov fu eletto Primo Ministro.
L’11 marzo gli organi di governo della penisola espressero l’intenzione di dichiarare unilateralmente l’indipendenza della Crimea dall’Ucraina, unitamente alla possibilità di entrare nella Russia come soggetto federale. La questione dell’indipendenza venne posta sotto forma di un quesito referendario.

Oggi la stragrande maggioranza degli abitanti della Crimea ritiene che l’intervento degli “uomini verdi” e la conseguenze soluzione politica della crisi attraverso lo strumento del referendum abbia in qualche modo evitato un escalation militare che avrebbe potuto portare a conseguenze imprevedibili. Nell’opinione pubblica locale questa opzione ha sicuramente scongiurato un bagno di sangue che date le premesse poteva essere di gran lunga più tragico di quello al quale si sta assistendo nei territori del Donbass.

Ciononostante la Crimea risulta essere “de iure” ucraina e “de facto” parte della Federazione Russa.

Dal marzo 2014 l’UE ha imposto gradualmente misure restrittive nei confronti della Russia, adottate in risposta all’annessione della Crimea.
Nei cinque anni intercorsi dal risultato referendario la Federazione Russa ha investito ingenti capitali nella penisola, soprattutto per quanto riguarda la realizzazione di opere pubbliche e infrastrutture. Tra i progetti spicca sicuramente la realizzazione del Ponte di Crimea, un doppio ponte stradale e ferroviario che unisce la penisola di Taman’ nel Territorio di Krasnodar e la penisola di Kierch. Costato circa 3,1 miliardi di euro, con i suoi quasi 19km risulta essere il più lungo ponte d’Europa e della Russia.

Vladimir Putin ha inoltre sfruttato il quinto anniversario dell’annessione della Crimea per rilanciare l’orgoglio nazionale e la sua immagine inaugurando due nuove centrali termoelettriche che, secondo il Cremlino, dovrebbero restituire “piena indipendenza energetica alla Crimea”.
Ovviamente c’è chi sostiene che questo piano di opere faccia parte di una imponente operazione di propaganda volta a non far pentire la popolazione crimeana del cammino intrapreso. Effettivamente potrebbe essere interpretato in tal senso il pacchetto di misure intrapreso a beneficio della minoranza dei tatari di Crimea. La minoranza musulmana della penisola era stata quella a manifestare le maggiori perplessità per l’annessione della Crimea alla Russia. Il 21 aprile 2014 Vladimir Putin ha firmato un decreto per la riabilitazione dei turco-tatari e degli altri popoli repressi in passato nella penisola e successivamente una legge che prevede una procedura semplificata per l’ottenimento del permesso di soggiorno per i cittadini o i loro parenti  espulsi illegalmente dalla repubblica autonoma di Crimea. Con la sua firma sono stati eliminati gli ultimi ostacoli per il ritorno nel paese delle persone deportate arbitrariamente dalla loro patria storica.
Attualmente la lingua tatara di Crimea è riconosciuta come lingua ufficiale assieme al russo e all’ucraino.
A questo provvedimento simbolico ma comunque significativo si sono aggiunti ingenti investimenti per la realizzazione di nuove unità abitative, nuove istituzioni educative e  strutture di culto. A breve nella zona meridionale di Simferopoli sarà realizzata una moschea per l’ inaugurazione della quale sarebbe già stato recapitato un invito al leader turco Erdogan.